Da quando, forse nel primo Calcolitico, forse prima, giunse in Europa occidentale dalla lontana Asia centro-orientale, passando per il Mediterraneo orientale con vari steps di domesticazione, non ci ha mai lasciato.
Anche in Sardegna il mandorlo Prunus dulcis, tra le prime specie arboree ad essere state addomesticate nel Vecchio Mondo, ha avuto un suo ruolo, forse più sociale e legato alle piccole economie familiari, piuttosto che al mercato dell'esportazione.
Certamente paesaggistico.
Fino a non troppo tempo fa gran parte dei terreni marginali, scarsamente fertili e con importante scheletro, spesso acclivi, erano dedicati al mandorlo.
Si seminavano in autunno tre mandorle amare in buche distanti 5-6 metri, e in primavera si lasciava una sola pianticella, la più forte. Lo stesso Novembre si innestava a mandorlo dolce, di tante varietà.
Le piante crescevano alte, con poche o nulle potature di allevamento o produzione, quasi selvatiche: erano alberi vigorosi, resistenti, e che regalavano splendide fioriture, ombra leggera, pregiata legna da ardere e da tornire, frutta secca preziosa come alimento e come materia prima per i dolci delle feste.
Anche in Sardegna il mandorlo Prunus dulcis, tra le prime specie arboree ad essere state addomesticate nel Vecchio Mondo, ha avuto un suo ruolo, forse più sociale e legato alle piccole economie familiari, piuttosto che al mercato dell'esportazione.
Certamente paesaggistico.
Fino a non troppo tempo fa gran parte dei terreni marginali, scarsamente fertili e con importante scheletro, spesso acclivi, erano dedicati al mandorlo.
Si seminavano in autunno tre mandorle amare in buche distanti 5-6 metri, e in primavera si lasciava una sola pianticella, la più forte. Lo stesso Novembre si innestava a mandorlo dolce, di tante varietà.
Le piante crescevano alte, con poche o nulle potature di allevamento o produzione, quasi selvatiche: erano alberi vigorosi, resistenti, e che regalavano splendide fioriture, ombra leggera, pregiata legna da ardere e da tornire, frutta secca preziosa come alimento e come materia prima per i dolci delle feste.
Ma i mandorleti, sopratutto oggi, rappresentano anche un importante eremo per piante ed animali in fuga dagli spazi occupati dall'agricoltura industrializzata, non più idonei alla loro sopravvivenza e riproduzione.
Delle vere sacche di resistenza di quel vecchio paesaggio agrario che era artificiale e naturale (gli amanti dell'accezione "semi-naturale" mi perdoneranno, ma non è la stessa cosa!) al contempo.
Ogni tanto ci capita, tra la fine di Agosto ed il mese di Ottobre, di andare a raccogliere mandorle: devo ammettere che il mio rendimento come raccoglitore è...basso, perché mi distraggo in un nonnulla.
Attorno ad un singolo albero vetusto di mandorlo, di quelli con il tronco ritorto su sé stesso come un cavatappi, gravita una quantità di vita impensabile.
Tra le radici intrecciate con lo sfaticcio di marne ed arenarie si sviluppano chiome di asparago pungente, ora completamente fiorite di minuscole campanelline di un giallo sbiadito. In mezzo a questo groviglio hanno la loro tana i topolini di campagna, e spesso topastri un po' più grossi, e giovani ratti, che accumulano mucchi di mandorle rosicchiate fuori dall'ingresso.
Sotto le pietre sonnecchiano già, nonostante le alte temperature, il gongilo Chalcides ocellatus e la Luscengola Chalchides chalcides, più raramente Algyroides fitzingeri, splendida lucertolina endemica dal ventre giallo aranciato.
Delle vere sacche di resistenza di quel vecchio paesaggio agrario che era artificiale e naturale (gli amanti dell'accezione "semi-naturale" mi perdoneranno, ma non è la stessa cosa!) al contempo.
Ogni tanto ci capita, tra la fine di Agosto ed il mese di Ottobre, di andare a raccogliere mandorle: devo ammettere che il mio rendimento come raccoglitore è...basso, perché mi distraggo in un nonnulla.
Attorno ad un singolo albero vetusto di mandorlo, di quelli con il tronco ritorto su sé stesso come un cavatappi, gravita una quantità di vita impensabile.
Tra le radici intrecciate con lo sfaticcio di marne ed arenarie si sviluppano chiome di asparago pungente, ora completamente fiorite di minuscole campanelline di un giallo sbiadito. In mezzo a questo groviglio hanno la loro tana i topolini di campagna, e spesso topastri un po' più grossi, e giovani ratti, che accumulano mucchi di mandorle rosicchiate fuori dall'ingresso.
Sotto le pietre sonnecchiano già, nonostante le alte temperature, il gongilo Chalcides ocellatus e la Luscengola Chalchides chalcides, più raramente Algyroides fitzingeri, splendida lucertolina endemica dal ventre giallo aranciato.
Assieme a loro, una grande quantità di invertebrati: coleotteri, miriapodi, qualche interessante aracnide. Trovo anche Trochoidea elegans, gasteropode Hygromiidae dal nicchio spettacolare, a disco volante, localizzato in Sardegna nel "mare miocenico" della Marmilla, della Trexenta e parte del Sarcidano occidentale. Specie tipica degli ambienti più xerici, alle prime piogge pascola sui pratelli effimeri delle pietraie, per poi trascorrere il resto dell'anno sotto i massi, o tra le crepe della roccia.
Il tronco, dalla corteccia aggrinzita e rugginosa, è difeso da plotoni di formiche dalla testa rossa Crematogaster scutellaris che pattugliano i percorsi abituali, e gli allevamenti di afidi, per arrabbiarsi in un nonnulla, a culo in su, pronte a pungere. Forse un po' odiose per la loro aggressività, questi splendidi imenotteri non sono in realtà nocivi per le piante, attaccando i soli tessuti morti.
Nelle crepe della corteccia, tra le bolle di resina dorata, sono incastonate file di mandorle perfettamente forate e il cui contenuto è stato mangiato: sono le tracce del picchio rosso maggiore che preleva i frutti delle varietà più morbide (mèndula de dentis) per poi forarle e nutrirsi del seme oleoso. Il picchio è sempre più comune dalle nostre parti, e rallegra non poco i nostri boschi, gli oliveti ed i mandorleti con i le sue vocalizzazione squillanti e le belle penne grigie a pois bianchi che dissemina qua e la sotto gli alberi.
Durante i giorni di raccolta delle mandorle non sono mai mancate le cince, sopratutto la cinciallegra: anche lei ha imparato a nutrirsi dei semi, che raggiunge forando minuziosamente (e con un bel po' di pazienza!) il guscio.
Dalle fronde degli alberi più grandi fuggono anche fringuelli, e verdoni e, in presenza di folte siepi di rovo nelle vicinanze, anche lo zigolo nero, e lo scricciolo.
Da lontano, nelle vicine aree brulle, si sente la tottavilla che canta in tutte le stagioni.
In alto, al di sopra delle fronde, volteggia una poiana.
Nelle crepe della corteccia, tra le bolle di resina dorata, sono incastonate file di mandorle perfettamente forate e il cui contenuto è stato mangiato: sono le tracce del picchio rosso maggiore che preleva i frutti delle varietà più morbide (mèndula de dentis) per poi forarle e nutrirsi del seme oleoso. Il picchio è sempre più comune dalle nostre parti, e rallegra non poco i nostri boschi, gli oliveti ed i mandorleti con i le sue vocalizzazione squillanti e le belle penne grigie a pois bianchi che dissemina qua e la sotto gli alberi.
Durante i giorni di raccolta delle mandorle non sono mai mancate le cince, sopratutto la cinciallegra: anche lei ha imparato a nutrirsi dei semi, che raggiunge forando minuziosamente (e con un bel po' di pazienza!) il guscio.
Dalle fronde degli alberi più grandi fuggono anche fringuelli, e verdoni e, in presenza di folte siepi di rovo nelle vicinanze, anche lo zigolo nero, e lo scricciolo.
Da lontano, nelle vicine aree brulle, si sente la tottavilla che canta in tutte le stagioni.
In alto, al di sopra delle fronde, volteggia una poiana.
Nelle cavità degli alberi cariati ha nidificato anche quest'anno l'upupa e, emozionantissimo, non solo lei!
Uno dei giovani di ghiandaia marina nati quest'anno, ormai ottimo volatore, mi attraversa la strada e si posa sul ramo di un grosso mandorlo intricato. Con quel piumaggio che va dall'azzurro elettrico al blu mare, è forse uno degli incontri più emozionanti di questi mesi. E' curiosa, ma prudente: si tratta di una specie legata agli agro-ecosistemi a conduzione tradizionale ed agli ambienti pseudo-steppici, considerata Vulnerabile secondo la Lista Rossa dei vertebrati italiani, abbastanza rara in Sardegna.
Il bello dei mandorleti è che spesso, viste le poche esigenze colturali, si trovano in ambienti marginali, e quindi almeno da un lato confinano con un'area non coltivata, brulla o ricoperta di gariga o macchia: è il caso di gran parte dei mandorleti che frequento e che ogni tanto abbandono per buttarmi nelle pietraie più calde e irte di spine di Carlina, di cardo selvatico e di splendide ginestre nane endemiche, come Genista morisii.
Il periodo della raccolta delle mandorle però è povero di fioriture, soprattutto se ancora non è piovuto: le poche disponibili, però, sono speciali.
Carlina gummifera è un'asteracea strana, totalmente acaule, senza fusto, con una rosetta di foglie di un bel verde chiaro, spinose, ed una fioritura molto tardiva: i capolini rosa intenso compaiono quando l'intera pianta è secca da tempo, e si notano a distanza tra lo sfaticcio di rocce e le praterie ingiallite da tempo. La C. gummifera, che noi chiamiamo Muscinìllia, un tempo si mangiava (i giovani capolini prima dell'antesi), e si utilizzava per tante altre necessità domestiche, compresa una mussa, una ricetta per rinnovare le botti del vino prima dell'utilizzo, come testimoniatomi dall'amico Agostino di Sàrdara.
Assieme alla Carlina, nei torridi pomeriggi di Settembre fioriscono anche alcune geofite bulbose: sono Asparagaceae dei generi Charybdis, Drimia e Prospero. Al mio arrivo Drimia fugax, a conferma della suo buon nome, è già fiorita, fruttificata e praticamente..sparita, mentre Prospero autumnale e P. obtusifolius rallegrano le radure aridissime con le loro incantevoli, piccole campanelle rosate.
Laddove sono arrivate le grandi arature, che purtroppo spesso coinvolgono anche gli impianti a mandorlo, queste specie non ci sono più.
E' bello invece vedere tanti mandorleti gestiti con le più tradizionali (e moderne!) tecniche di non-lavorazione, senza radici spezzate e ancora pieni di vita.
Laddove sono arrivate le grandi arature, che purtroppo spesso coinvolgono anche gli impianti a mandorlo, queste specie non ci sono più.
E' bello invece vedere tanti mandorleti gestiti con le più tradizionali (e moderne!) tecniche di non-lavorazione, senza radici spezzate e ancora pieni di vita.
Compaiono le prime piogge, i primi venti di tramontana.
Le tortore selvatiche sono ormai scomparse, qualche rondine attraversa frettolosamente il mandorleto. Qualche timido filo d'erba.
La raccolta delle mandorle è terminata. Gli ultimi frutti, dal mallo zuppo ed ormai scuro, si raccoglieranno da terra.
Le tortore selvatiche sono ormai scomparse, qualche rondine attraversa frettolosamente il mandorleto. Qualche timido filo d'erba.
La raccolta delle mandorle è terminata. Gli ultimi frutti, dal mallo zuppo ed ormai scuro, si raccoglieranno da terra.